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Tirreno-Adriatico, il Terminillo è ancora di Quintana

Il colombiano fa il bis e si prende la maglia azzurra

Nairo Quintana ha riconquistato il Terminillo e vinto in solitaria la tappa regina della Tirreno-Adriatico, prendendosi la maglia di leader della classifica generale. Rispetto al 2015, non è stata una cavalcata trionfale sotto la neve ai limiti della leggenda. Il colombiano della Movistar ha prima lasciato sfogare gli avversari e poi ha dato una dimostrazione di forza ragionata e consapevole, partendo ai 2 km dal traguardo.

 

Chi esce bene

Si pensava che il Terminillo non avrebbe dato risposte così importanti. Invece la prima vera  salita dell’anno sulle strade italiane è stata rivelatrice di pregi e difetti, alcuni nuovi e altri già noti, ponendo molti corridori di fronte al primo  esame di coscienza della stagione. Tra quelli che ne sono usciti con il sorriso,  la montagna laziale ci ha restituito un Quintana sornione, con la bella danza sui pedali di un ragazzo che sa di essere solo ai preamboli dell’accoppiata Giro-Tour. Ha mostrato uno Spilak incontenibile, con una gamba fantastica, che è andato vicinissimo alla vittoria e si è dovuto arrendere soltanto al Condor. Ha premiato un Geraint Thomas coriaceo, che da falso scalatore è stato il migliore fra i big ed è arrivato secondo dietro a Quintana perdendo pochi secondi. Ha messo in risalto la buona condizione di Adam Yates e Uran, che hanno provato a scattare e sono giunti insieme, terzo e quarto. Ha fatto riscoprire Pozzovivo e Landa, autori di una prestazione incoraggiante e non lontani dai migliori.

Chi esce male

La “Montagna di Roma” però ne ha anche respinti tanti. Le più grandi delusioni di giornata sono stati Fabio Aru e Bob Jungels: appesantiti e in difficoltà fin dalle prime rampe, si sono prima sfilati dalle prime posizioni per poi perdere inesorabilmente contatto. Cattivi segnali per chi come Aru vuole riscattarsi da un 2016 a dir poco scialbo e per il lussemburghese che ha velleità di Grandi Giri. Tra i delusi finisce, come ormai spesso capita, Thibaut Pinot, che si è staccato troppo presto senza tenere il ritmo dei migliori in salita, quello che in teoria dovrebbe essere il suo pezzo forte. Kwiatkowski ha attaccato subito rispettando le promesse garibaldine della Sky ma per l’ennesima volta si è avuta l’impressione che non sarà mai uomo da lunghe corse a tappe e grandi salite: si è sciolto insieme alla neve al sole di fronte alle prime vere staffilate di Spilak. Il più indecifrabile è stato Nibali: sembrava promettere faville per avere messo il team Bahrain a tirare. La squadra ha fatto un lavoro egregio, dando l’impressione di grande compattezza anche in vista del Giro. Lui però, appena il gioco si è fatto più duro, è scomparso. E si riapre la vecchia diatriba sul Nibali fantasma e scialbo che corre bene solo poche corse durante l’anno. Nel registro dei non pervenuti, quelli andati non male ma di più, spiccano Caruso e Van Garderen: spariti nel nulla e protagonisti del disastro totale di oggi della Bmc.